mercoledì 25 gennaio 2012

Petrolchimico di Augusta Condanna dalla Corte Ue

Le imprese che hanno operato nel polo petrolchimico Augusta-Priolo-Melilli, in provincia di Siracusa, dovranno pagare per i danni ambientali arrecati all'area. Secondo una sentenza della Corte Ue di giustizia "gli operatori che hanno impianti limitrofi a una zona inquinata possono essere considerati presunti responsabili dell'inquinamento". La Corte si è pronunciata dopo essere stata investita dal Tar della Sicilia che dovrà decidere su alcuni ricorsi presentati da Erg, Eni, Polimeri Europa, Syndial contro alcuni provvedimenti che le obbligano ad adottare misure per la riparazione del danno ambientale nella zona di Priolo accollandosene gli oneri finanziari.


Nella sentenza la Corte europea giunge alla conclusione che "la direttiva sulla responsabilità ambientale non osta a una normativa nazionale che consente all'autorità competente di presumere l'esistenza di un nesso di causalità tra determinati operatori e un inquinamento accertato, e ciò in base alla vicinanza dei loro impianti alla zona inquinata". E l'autorità "dovrà disporre di indizi plausibili in grado di dare fondamento alla sua presunzione, quali la vicinanza dell'impianto dell'operatore all'inquinamento accertato e la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati da detto operatore nell'esercizio della sua attività".

Inoltre - sottolinea la Corte Ue - "l'autorità competente non è tenuta a dimostrare l'esistenza di un illecito in capo agli operatori le cui attività siano considerate all'origine del danno ambientale". Per i giudici di Lussemburgo, infine, "le autorità nazionali possono subordinare il diritto degli operatori ad utilizzare i loro terreni alla condizione che essi realizzino i lavori di riparazione ambientale imposti". Anche se una tale misura "deve essere giustificata dallo scopo di impedire il peggioramento della situazione ambientale".


Legambiente esprime soddisfazione per la sentenza interpretativa, che chiarisce che gli operatori del polo petrolchimico possono essere considerati responsabili dell’inquinamento dei suoli e della rada di Augusta anche se non hanno commesso illeciti. L’associazione ambientalista ritiene la pronuncia “molto utile a sbloccare il risanamento ambientale delle 57 aree più inquinate d’Italia, gestite dal 1998 in modo del tutto inefficiente dal ministero dell’Ambiente con il Programma nazionale di bonifica, oltre alle migliaia di siti locali inquinati la cui bonifica compete a Regioni e Comuni”.

Quella della bonifica della rada di Augusta è considerato dalle associazioni ambientaliste la madre di tutte le battaglie per il risanamento della zona industriale Siracusana. Sui fondali di quel tratto di mare si sono accumulati diversi milioni di tonnellate di rifiuti inquinanti in oltre cinquant'anni di attività delle aziende che hanno fatto del polo petrolchimico a partire dalla fine degli anni '50 del secolo scorso una delle aree a maggiore densita' di impianti di industria 'pesante'. “Tra l’inefficienza del ministero e il rimpallo delle responsabilità tra le aziende – dichiara Stefano Ciafani, responsabile scientifico di Legambiente – a pagare le conseguenze, anche sanitarie, è sempre il ‘popolo inquinato’, come dimostrano numerosi studi epidemiologici realizzati da Oms, Istituto Superiore di Sanità, Cnr e Osservatori regionali. La responsabilità sociale delle aziende si misura anche sulla loro disponibilità a intervenire con tempi certi e adeguate risorse umane ed economiche per il risanamento ambientale”.

“Cogliamo finalmente - aggiunge Ciafani - l’opportunità offerta della bonifica dell’inquinamento pregresso per rilanciare la chimica italiana sui mercati internazionali, fondandola sull’innovazione tecnologica di prodotto e di processo”. La decisione di oggi della Corte Ue - che ha riaffermato il principio "chi inquina paga" - si inserisce in una vicenda giudiziaria complessa che vede intrecciarsi procedimenti davanti alla magistratura amministrativa e a quella ordinaria penale. Il primo atto cinque anni fa quando alcune delle aziende che, secondo l'indirizzo emerso a suo tempo dalla conferenza nazionale dei servizi, avrebbero dovuto farsi carico dei costi della bonifica decisero di ricorrere al Tar di Catania mentre altre società scelsero la via del ricorso amministrativo davanti ai giudici del Lazio.

Il Tar etneo sospese l'efficacia del provvedimento della conferenza dei servizi accogliendo le ragioni alle aziende ricorrenti. Successivamente, però, il Consiglio di giustizia amministrativa di Palermo ripristinò l'efficacia dell'obbligo della bonifica a cura delle aziende dell'area industriale siracusana. La vicenda intanto era finita anche all'esame della Corte Ue alla quale la magistratura amministrativa siciliana si era rivolta perché fissasse una sorta di "indirizzo" che oggi si é concretizzato nella riaffermazione del principio "chi inquina paga". Un principio che adesso potrà essere applicato nelle decisioni future dei giudici amministrativi siciliani sulla specifica questione.

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